MACOMER. Arrivano nude e crude, senza fronzoli e private del contesto, delle storie e dei nomi, scarnificate fino all'osso. Nonostante questo sono preziose, perché rappresentano le uniche informazioni a disposizione a fronte di un riserbo istituzionale che ha preso le forme della più assoluta segretezza. Sono le notizie che fotografano la situazione interna del Cpr della Sardegna, il centro di detenzione per i migranti aperto il 20 Gennaio nell'ex carcere di Bonu Trau a Macomer.
Venerdì un uomo, che si presume detenuto nel centro solo in quanto “irregolare”, ossia privo di un riconoscimento dello Stato che gli consenta di soggiornare in Italia, avrebbe tentato di impiccarsi utilizzando una coperta. Per farlo, avrebbe raggiunto un'area all'aperto, sempre all'interno del perimetro del Cpr, forse nel tentativo di sottrarsi a sguardi indiscreti. Ad accorgersi della situazione e lanciare l'allarme gli operatori di vigilanza, che avrebbero visto la scena sugli schermi collegati al sistema di telecamere col quale si sorveglia l'intera struttura, consentendo un intervento in grado di interrompere il tentativo di suicidio.
Di quell'uomo e della sua storia non sappiamo ovviamente nulla: è un invisibile, come tutte le altre persone finite nelle maglie di questo sistema di gestione del fenomeno delle migrazioni che annichilisce l'essere umano fino a ridurlo ad uno “scarto”.
Detenuti senza aver commesso alcun reato penale, strappati alla propria esistenza, agli affetti ed alle relazioni senza neppure la possibilità di far sapere alla famiglia dove si sia finiti, destinati ad essere rispediti nei luoghi e nelle situazioni da cui si è tentato di fuggire, a questi umani “irregolari” per la legge di altri uomini sembra non restare altra “arma” per riaffermare la propria esistenza e dignità se non la loro stessa vita, unico bene di cui parzialmente dispongono.
Così anche Macomer - col suo Cpr aperto da un mese e mezzo che già conta numerosi e diversi episodi tra tensione tra gruppi, proteste e tentativi di suicidio - si fa palcoscenico del grido strozzato di chi non ha diritti e contenitore di voci rese afone dall'inquietante e perdurante cappa che avvolge queste prigioni selettive relegandole ad un universo altro, sconosciuto ed incomprensibile, lontanissimo ed inimmaginabile persino quando la loro collocazione ricade all'interno dello stesso perimetro urbano.