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CPR di Macomer, parla Rossana Ledda: “sulla gestione interna del Centro il nostro Comune non ha competenza”

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MACOMER. Il Cpr, centro di permanenza per il rimpatrio dei migranti, aperto a Macomer lo scorso 20 Gennaio nell'ex carcere in località Bonu Trau, è diventato in 40 giorni di attività un vero e proprio caso.

Avvolta da un pesante silenzio ufficiale, la struttura continua a far parlare di sé per le continue notizie che trapelano e narrano di forti tensioni interne, risse, tentativi di suicidi, limitazioni dei diritti per i detenuti e, non ultima, una denunciata situazione che non garantirebbe la sicurezza per il personale in servizio.

È in questo articolato e problematico quadro che, chiamata ad esprimersi sulla questione, parla Rossana Ledda, vice Sindaca che, dopo il terremoto giudiziario che ha portato il primo cittadino Antonio Onorato Succu agli arresti domiciliari, ha assunto le funzioni di Sindaco di Macomer. Nel suo intervento, che riportiamo integralmente di seguito, la rappresentante macomerese ripercorre l'iter che ha portato all'apertura del centro regionale ed in qualche modo ridimensiona il ruolo svolto dal suo Comune durante quella partita suggellata dalla firma del Patto per la Sicurezza, ma richiama anche l'attenzione sulle diverse competenze istituzionali, sottraendo il Comune di Macomer da quelle relative alla gestione interna del centro.

Di seguito, il contributo della facente funzioni di Sindaco di Macomer Rossana Ledda:

Riaffermo che la scelta del Cpr a Macomer fu fatta dallo Stato e non dal Comune, dato che il decreto sulla sicurezza di allora, Minniti-Orlando, prevedeva che la scelta fosse in capo al Ministero, che interpellò la Regione Sardegna (la quale non esercitava potere decisionale).

La stessa Regione decise di coinvolgere il Comune di Macomer perché aveva sul suo territorio un ex carcere in buone condizioni, che per giunta la comunità chiedeva di riaprire, e di proprietà del demanio (NON del Comune). Si escluse la struttura di Iglesias che, affermarono, necessitava di una ristrutturazione più lunga e costosa.

Il sindaco Succu e l’amministrazione, preso atto delle decisioni in capo, riuscirono non solo a coinvolgere tutto il Consiglio Comunale (almeno 3 sedute e ad una parteciparono sia l’Assessore Spanu sia la dottoressa Quaquero, psicologa e consulente dell’allora governatore Pigliaru sui migranti), ma soprattutto a porre precise condizioni:

1. Rispetto della dignità degli ospiti (con Garante dei diritti e Commissione di Verifica controllo del quale ho già sollecitato il Prefetto)

2. Sicurezza della popolazione con implementazione delle forze dell’ordine, dell’illuminazione pubblica, della video sorveglianza e possibilità di riapertura della caserma GdF, esclusione dell’apertura del CAS, Centro Accoglienza Straordinaria, all’ex Motel Agip.

Riguardo alle opportunità legate all’indotto mi sono già espressa in merito.

Il Sindaco e l’amministrazione comunale inoltre non si opposero alla richiesta di Referendum e sottoposero il quesito al Prefetto di allora per poter procedere, ma il parere fu negativo poiché la “materia era di competenza dello Stato”.

Non bisogna dimenticare che il Ministro Minniti e il Presidente Pigliaru sostennero che il CPR servisse anche come deterrente agli sbarchi diretti sulle coste sarde dall’Algeria (centinaia all’anno in tutti questi anni e ancora persistenti) ed era destinato agli irregolari clandestini che non avevano i requisiti per la microaccoglienza diffusa (allora più ampi rispetto ai successivi stabiliti dal Decreto Salvini) e che utilizzavano la Sardegna come rampa per entrare illegalmente in Europa.

Bisogna anche ricordare che il Comune i patti li ha firmati con Regione, Ministero, Provincia, ANCI, Consiglio Autonomie Locali, e che si basavano sul decreto Minniti-Orlando, poi modificato da Salvini, che ad esempio ha portato il periodo di detenzione da 90 a 180 giorni.

Ciò premesso per chiarezza dei fatti e, soprattutto, per ricordare e non confondere i ruoli e le competenze.

Per quanto riguarda l’accoglienza, il valore dell’integrazione e il rispetto dei diritti umani, il Comune di Macomer, quando le decisioni erano in capo a noi, lo affermo con forza, è SEMPRE stato in prima linea, tanto da coinvolgere e condividere l’apertura di uno dei primi Sprar in Sardegna con 8 sindaci dell’Unione dei Comuni, e abbiamo sempre affrontato le criticità senza girarci dall’altra parte. 

Sul CPR e sulla gestione interna invece il Comune non ha competenza, sollecita l’istituzione della commissione di verifica e auspica che il garante dei diritti possa quanto prima espletare la sua funzione di vigilanza.

Ritengo che sulla natura dei CPR si possa discutere all’infinito, ma di fatto sono previsti da una legge dello Stato italiano, di cui facciamo parte e a cui devono attenersi tutti i Comuni, anche il Comune di Macomer!

Forse la natura del CPR cambierebbe se anziché a Macomer fosse in qualunque altra parte della Sardegna?

Se poi si vuole accusare le amministrazioni comunali, sedi delle carceri e dei CPR in Italia,  relativamente alle molteplici problematiche di gestione, allora mi arrendo...

 

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