Giovedì 22 marzo alle ore 18.30 presso il Centro servizi culturali di Macomer i Tenores di Neoneli terranno un concerto dal titolo “Gramsci. Un’omine, una vida” Perché venire?
Perché questo libro? Sono molte le ragioni.
Antonio Gramsci è uno degli scrittori italiani di ogni tempo più studiato e tradotto al mondo. So che esistono oltre ventimila titoli che riguardano il pensatore sardo, e so che le pubblicazioni interessano oltre quaranta lingue diverse, di ogni continente.
Ecco la prima ragione: nessuno aveva scritto ancora la vita di Gramsci in sardo, in ottava rima logudorese. Ho voluto farlo io. Una scommessa impegnativa, molto impegnativa. Ce l’ho fatta.
Il migliore amico che abbia mai avuto, e che non c’è più, Peppino Marotto, aveva per Gramsci una sorta di venerazione. Mi diceva spesso che, quando la politica italiana lo rattristava, leggeva Gramsci e trovava conforto, una spiegazione a tutto. La vita portò in carcere anche lui. Anche lui fece isolamento: isolamento volontario per leggere Gramsci. Mi sembrava di avere un debito morale nei suoi confronti. Ho scritto il libro. E nello scrivere ho sentito di fare una cosa che Peppino avrebbe gradito molto. Forse sarebbe stato orgoglioso di me, suo umile allievo verseggiatore. Il libro è per lui come una dedica speciale, molto sentita.
E c’è anche un altro Peppino. Lo scrittore Giuseppe Fiori, autore del libro “Vita di Antonio Gramsci”, che mi regalò durante la campagna elettorale per le politiche del 1979. Instaurammo un bel rapporto personale, durato molti anni, si spese per far conoscere i tenores di Neoneli, fu gradito ospite al mio matrimonio.
Mi piaceva moltissimo il suo modo di fare giornalismo, uno stile asciutto che si riscontrava in ogni suo scritto. Celebri anche altre biografie.
Quando mi regalò il libro lo lessi in due giorni. Il volume mi spinse poi ad altre letture su Gramsci, ed acquistai non poche pubblicazioni. Fu un periodo di grande impegno, di grande studio. Tutto nasce da quel libro.
Passarono i decenni. Qualche estate fa ripresi in mano la biografia e la rilessi. Scattò qualcosa. Decisi che avrei scritto la vita di Gramsci in sardo. Il libro di Fiori fu la prima vittima del mio impegno: letteralmente lo feci a pezzi, a furia di sfogliarlo e risfogliarlo. Lo acquistai nuovamente. Proposi il progetto alla Fondazione Banco di Sardegna (ora diventata Fondazione di Sardegna). Dopo qualche tempo mi risposero positivamente, e non so come esprimere il mio ringraziamento per la confermata sensibilità sul patrimonio storico e culturale della Sardegna.
Ci permette di esitare un progetto importante, un punto di arrivo (ma anche una nuova partenza) che girerà la Sardegna e i continenti, un progetto editoriale, certo, ma anche culturale e di spettacolo senza precedenti, su un personaggio quasi mitico della nostra storia, sarda, nazionale e mondiale.
Non so, oggi, da quanti politici Gramsci sia conosciuto, come e quanto. Ma so che a tanti, forse a tantissimi, gioverebbe una sua lettura critica. Oggi la “passione” per la politica è fatta di slogan, retorica, una demagogia senza fine. Non raramente la cultura politica oggi è “non cultura”.
Gramsci veniva ascoltato come un oracolo, ma più spesso lui taceva “per ascoltare gli altri”. Non voleva essere lui il maestro: si sentiva sempre il discente. Lui imparava dagli operai, dai contadini, dal pastore sardo, dalle stoiche e silenziose donne del villaggio, dei suoi orizzonti. L’umiltà, virtù rara.
La bramosia della conoscenza, dello studio, la voglia di investigare il processo dell’uomo, della civiltà, delle nazioni, le classi subalterne, la questione meridionale, la teoria e la prassi. Qualità sempre più desuete, forse, nel nostro panorama, almeno in buona, buonissima parte.
Fra i mille argomenti che Gramsci ha trattato nei suoi studi, nei Quaderni, nelle Lettere, vi è anche il mondo del folclore, delle tradizioni popolari. Sono per lui argomenti di grande importanza, non secondari. Sono lo specchio del tempo in cammino, mai fermo, mai ingessato. Le tradizioni popolari legate al processo umano, non ancorate al passato remoto e perciò immutabili e retrograde, ma vive e vitali, e plasmate dal progresso, se e quando c’è. Non frivolo passatempo, quindi, per alimentare il dolce scordare, ma leva benefica per specchiare il percorso delle classi subalterne.
Una sfida, un’altra sfida.
Gramsci è un autore, come dicevo, studiato ovunque quanto mai. Naturalmente su di lui sono stati scritti testi teatrali, poesie, sceneggiature per film, ecc. Anche in Sardegna, e forse a maggior ragione, è successo e succede da decenni. Succederà ancora. Tuttavia un progetto come il nostro mancava.
Lo scrivere la sua vita in ottave logudoresi è certamente la parte grossa dell’iniziativa, la “pancia” del progetto. La base. Dalla base si parte per edificare poi una narrazione in forma di spettacolo. La cosa corrisponde a diverse esigenze, e qualche conferma.
Un’esigenza è quella di far conoscere Gramsci in un modo originale e ad un pubblico vario fatto di alunni delle scuole, appassionati di tradizioni popolari, i nostri fan, i giovani. In Sardegna e fuori, col canto, la musica, il tenore.
Il canto che trasmette contenuti, in questo caso una vita. La vita di uno dei personaggi sardi più famosi di tutti i tempi, veicolata con una modalità arcaica, la musica de su tenore e delle launeddas. Una narrazione originale con un filo conduttore unico e di indubbio interesse e valore: vita e opere di Antonio Gramsci.
Ora “GRAMSCI, un’Omine, una Vida” vede la luce il primo lavoro di un trittico (sempre libro e spettacolo omonimo) che poi ci porterà a scrivere e cantare Emilio Lussu ed Enrico Berlinguer. A Dio piacendo.
Una sfida appassionante. Mi ha pervaso le cellule della mente, sentivo nell’intimo che dovevo imbarcarmi in questa suggestiva e molto toccante avventura.
Già, toccante perché Gramsci è vittima di mille sventure: la tragedia umana, il disfacimento del corpo, le inenarrabili sofferenze fisiche. La tragedia politica del fascismo, che lo ha imprigionato per impedire al suo cervello di funzionare. L’isolamento in cella, l’abbandono. Un grandissimo amore ostacolato dalla vita, dalla sofferenza, un figlio appena abbracciato, un altro mai conosciuto.
Tutte cose che ho interiorizzato e mi hanno posseduto. Che ho raccontato spero in maniera fedele alla realtà. Ma non ho inventato nulla, solo ho messo del mio immaginando “stati d’animo”, passioni, afflizioni: sue, di mammà Peppina, di Teresina, di Julka, Tania e tutti i personaggi della sua breve e sventurata esistenza.
Ho letto tantissimi libri, suoi e di altri, la bibliografia lo testimonia. Ho sentito suoi parenti, che ringrazio dal profondo del cuore (Diddi Paulesu, figlia di Teresina, suo nipote Luca Paulesu, e Antonio Gramsci jr, Massimo Corda, figlio di Mea): hanno aggiunto particolari non sempre riscontrabili sui libri, e ne ho fatto tesoro.
Ho sentito studiosi e storici, a cominciare da Giuseppe Vacca, Angelo D’Orsi, Francesco Giasi, Salvatore Zucca…
E poi naturalmente mi sono confrontato con tanti amici delle associazioni che a Gramsci si richiamano.
Tutti, nessuno escluso, mi hanno dato un prezioso contributo di conoscenza: li ringrazio davvero tantissimo, sperando che il lavoro sia degno di cotanto personaggio.
Credo di aver trasposto in rima logudorese contenuti e dati in maniera la più fedele possibile. E così continuerò a fare nella narrazione durante lo spettacolo che sarà l’impalcatura dell’omonimo progetto.
Ho sempre sostenuto (i miei fraterni compagni de su tenore lo sanno bene) che la sublimazione dell’arte è creare. Creare è rischiare, mettersi in gioco.
In questo caso io ho creato “un presupposto”, cioè il libro. Un racconto in maniera originale (in lingua sarda, logudorese) della vita di Gramsci. Dal libro discende poi lo spettacolo che abbiamo già cominciato a proporre e a lungo proporremo ovunque sarà richiesto. Il pubblico dirà, come sempre, e darà il suo responso.